“Vedrai che un giorno troverai anche tu la tua isola del tesoro” – questa sono le ultime parole che il padre di Hugo Pratt regalò al figlio insieme a una copia del libro di Stevenson pochi minuti prima che scomparisse per sempre, incarcerato nelle prigioni di Sua Maestà.
Ovvio che quelle parole lo segnarono, se le portò dietro e addosso come le scarpe che ti seguono per anni ovunque per il mondo e non sai più se è il tuo piede ad averle segnate o se al contrario sono state loro a formare (sformare?) te.
In questi bollenti giorni di agosto ho prima assaggiato e poi ingoiato con furia tutte le storie di Corto Maltese che potevo portarmi dietro nello zaino con sacco a pelo e costume.
Corto/Pratt ha una capacità di trasportarti nel mondo, di farti viaggiare che si ritrova in certi autori americani o nelle storie di giornalisti inviati di guerra. Ma Corto per me è intriso di una melodia unica in tutte le storie: c’è una malinconia innominata in ogni arrivo e partenza, in ogni spazio esteso che sia l’oceano, la grande città o le montagne stese come coperte di giganti allettati sotto un cielo pesante.
E in molte storie Pratt stesso lo fa dire ai suoi personaggi, da notare che tutte le persone che incontra Corto riconoscono in lui una febbre che ha già una risposta. Tutti la conoscono, anche lui. La differenza è che lui continua a cercare pur conoscendo la verità razionale e ultima. Prima è l’addio con Bocca Dorata, una strega vudu a riconoscere in lui la domanda che gli muove i piedi:
-Allora, bel marinaio, parti?
-Sono costretto, non sono di quelli che mettono radici!
-Qui avresti trovato tutto quello che cerchi…Ma tu sei cieco come una talpa!
-Può darsi, ma è affar mio accorgermene.
-Ah, sì…sì. Ma ricordati di noi. Hai una casa qui. E non tornare troppo vecchio. Quel che cerchi non esiste.
-Come lo sai? Lo so per esperienza.
C’è qualcosa di tremendamente romantico e forse stupido in questo continuo andare, in questa continua sete. Nell’essere sempre qui e altrove. Avendo l’illusione di essere nel mondo e in realtà solo attraversarlo. Non importa forse tanto che invece del turista fai il viaggiatore o che ammanti le tue avventure di ingaggi di lavoro. Non prendi in giro l’anima. Soprattutto se è la tua. Sì, c’è libertà nel non aver patria ed essere figlio di ogni paese ma arrivi ad un certo punto, vecchio forse, che ti rendi conto di essere solo un’isola nella corrente: visi, luoghi, avventure, storie, tutto affastellato, tutto morto. Sei solo. Quel che hai cercato non l’hai trovato. E Corto si dice finì così, finì a 49 anni a vivere la sua vecchiaia su un’isola accudito da Pandora, la ragazzina della sua prima avventura La ballata del mare salato.
Ma quando incontri gente così, persone libere, non puoi fare a meno di porti anche tu delle domande, le stesse che ti prendono la notte davanti alle onde del mare: restare o andare? Cosa c’è al di là?
Poi dentro di te lo sai, sai che l’unico posto che non puoi sfuggire è dentro, fatto apposta per te, arredato con i tuoi sogni, i tuoi fantasmi e le tue eterne contraddizioni. Ma anche tu, a tuo modo, continui ad andare. E credere, forse. Sapendo di imbrogliarti.
Ma la saggezza è qualcosa che si costruisce piano piano e muovendosi freneticamente.
Sapendo bene che “Trovate una tribù e quella vi parlerà di un’altra tribù misteriosa…e così via…Vi accorgerete che c’è sempre qualcosa da scoprire, sempre più lontano, fino ad arrivare al punto di partenza senza aver trovato quel che cercate” (Corto Maltese Lontane isole del vento).
Qui cogli l’uomo corto maltese che si agita dentro di noi. Ecco spiegato perchè mi graffi dentro. Quest’uomo mi fa tenerezza e paura. E qui si scatena il ritmo delle contraddizioni che fanno da contrappunto a ogni passaggio della vita. Paura perchè suppongo che se dovessi scegliere di fermarmi, ciò potrebbe solo avvenire se mi imbattessi in qualcosa per cui valga la pena accasarsi. E ancora paura perchè se vuoi riprendere il cammino, ti sentirai certamente richiamato indietro da ciò che prima ti attraeva e ti è sembrata l’isola felice. Uno pensa che forse sarebbe meglio allora darsi come programma di vita quello di non fermarsi mai, anche solo per non sentire il dolore del successivo distacco, comunque da mettere in conto, visto che siamo di passaggio e non siamo destinati al contingente. Contraddizioni che, secondo me, si snaturano/ risolvono in antinomia e sofferenza interiore. Qual’è allora il messaggio di questo personaggio? Forse un interrogativo: bisogna allora solo rassegnarsi e sopportare?
22.8.17