È considerato il più raffinato autore di fumetti italiano. Vittorio Giardino, nato a Bologna nel 1946, a trent’anni decide di dedicarsi completamente ai fumetti abbandonando il mestiere di ingegnere elettronico.
Nel 1979 pubblica sulla rivista Il Mago la prima storia dell’investigatore italo-americano Sam Pezzo.
A consacrarlo a livello internazionale è Rapsodia ungherese, la prima avventura di Max Fridman del 1981, creata per la rivista Orient Express. Nel 1982 infatti vince il premio Yellow Kid al Festival di Lucca.
Del 1984 è Little Ego, una rivisitazione in chiave ironica/erotica di Little Nemo di Winsor Mc Cay.
Nel 1986 pubblica La Porta d’Oriente, la seconda avventura di Max Fridman.
In quegli anni pubblica anche storie brevi per diverse testate come il Messaggero, L’Espresso, La Repubblica, che vedono come tematiche principali l’inganno, l’eros e la menzogna nella quotidianità. Queste storie sono state raccolte nella serie Vacanze fatali.
A partire dal 1991, Giardino si dedica ad un nuovo personaggio: Jonas Fink, un giovane praghese di religione ebrea che si trova a vivere mille peripezie attraversando quei decenni frenetici che coprono dal dopoguerra alla caduta del muro. Pochi anni dopo, il primo volume che vede la luce sulle pagine della rivista Il Grifo, del 1995, è L’Infanzia. Il secondo, L’Adolescenza, è del 1996. Il terzo, del 2018 è Il libraio di Praga. Rizzoli Lizard, nel 2018, pubblica la saga completa in un volume dal titolo Jonas Fink. Una vita sospesa. Grazie a Jonas Fink, Giardino vince il premio Alph’Art al Salone di Angoulême (1995) e l’Harvey Awards al San Diego Comic Con (1998).
Max Fridman ritorna nel 1999 con No pasarán, una storia in tre volumi (2000, 2002, 2008) ambientata durante la guerra civile spagnola.
Del 2005 è la soap-opera a fumetti Eva Miranda, disegnata su soggetto di Giovanni Barbieri.
A Lucca nel 2008 gli viene conferito il premio Gran Maestro del Fumetto.
Del 2010, in forma di romanzo illustrato, è la raccolta dei frammenti di biografia di Max Fridman dal titolo L’avventuriero prudente.
Lorenzo Cioffi, nel 2018, gira un documentario dal titolo Le circostanze su Vittorio Giardino.
Del 2020 è Viaggi, Sogni e Segreti edito da Rizzoli Lizard. Il volume contiene una serie di storie, più o meno brevi, pubblicate originariamente in tre antologie: Viaggi Inquieti, Viaggi di Sogno e Vacanze Fatali.
La sua ultima pubblicazione è Tratti in salvo, 2022, edito da Rizzoli Lizard, una raccolta di storie inedite e d’archivio dell’autore.
I suoi libri sono stati tradotti in 14 lingue e pubblicati in Francia, Spagna, Portogallo, Germania, Olanda, Danimarca, Norvegia, Svezia, Islanda, Repubblica Ceca, Croazia, Grecia, Cina, Giappone, USA, Argentina, Brasile.
Abbiamo avuto l’incredibile fortuna di porgli alcune domande sul suo lavoro, il rapporto con il fumetto e l’editoria.
Come ti sei avvicinato al fumetto? Che percorso formativo hai fatto?
Sin dalla prima infanzia, prima ancora di saper leggere, ho iniziato a disegnare. Da allora è nata una passione che dura ancora oggi. È diventata la mia attività professionale solo a 30 anni. Ho avuto tutt’altra formazione, non ho frequentato una scuola d’arte ma il liceo classico e poi l’università con ingegneria elettronica.
Dopo la laurea ho lavorato per quasi dieci anni come ingegnere. Ho avuto un percorso anomalo ma a un certo punto il disegno mi mancava troppo, ho deciso di cambiare lavoro con grande incoscienza. Oggi, a quarant’anni di distanza, posso dire di aver avuto anche una fortuna sfacciata.
Quali sono i tuoi maestri?
Ci vorrebbero giorni per citarli tutti. Tra i più importanti ci sono sicuramente Carl Barks e Floyd Gottfredson, rispettivi disegnatori delle più belle avventure di Paperino e Topolino.
Paperino e Topolino sono la quintessenza del fumetto: il disegno è un’assurda caricatura di animali che assomiglia al loro modello in misura molto relativa, con pochi semplici tratti “somatici”, nulla di più lontano da un’immagine fotografica, eppure con una ricchezza di espressioni e di sentimenti tale da far dimenticare chi sono. Chi si ricorda che Donald Duck è un papero? Paperino è semplicemente una persona, con pregi, difetti e contraddizioni come tutti noi. Un personaggio degno dei grandi della letteratura. Eppure un personaggio che può esistere solo nel fumetto o, al massimo, nel cartone animato.
Tra le mie influenze, c’è Corto Maltese di Hugo Pratt, letto su Linus. Mi colpì moltissimo perché ci trovavo dei riferimenti culturali che andavano oltre il fumetto, come ad esempio Jack London. E poi Winsor McCay, che considero importante quanto Griffith per il cinema, perché ha inventato il vero linguaggio del fumetto .
E ancora Alberto Breccia, suo “nipote” José Muñoz e Moebius, autori da cui ho preso moltissimo. Un lettore attento e che conosce questi autori può certamente trovare dei riflessi della loro produzione nel mio lavoro.
La tua ultima pubblicazione?
Tratti in salvo del 2022. Uno strano libro che andrebbe abbinato a un cornetto rosso o a un ferro di cavallo. Un tipo di libro che si fa postumo. Contiene cose mai pubblicate che generalmente scopre o trova un critico: lavori inediti o poco visti, tavole per una mostra che i lettori non conoscono, pubblicazioni sparse, materiale dimenticato.
Ho fatto una scelta e vi ho incluso anche i miei primi lavori, che al tempo furono rifiutati a causa del disegno acerbo. A quarant’anni di distanza mi sono accorto che le storie ancora funzionavano. Ho scritto molti testi per questi materiali sparsi, per raccontarne la genesi. Ho impiegato diverso tempo nella raccolta dei materiali, circa due mesi, per scegliere le opere che continuavano a saltare fuori dal fondo dei cassetti. Alla fine abbiamo dovuto fermarci, ma anche così sono più di 250 pagine.
Sono molto grato alla redazione di Rizzoli Lizard perché si sono interamente occupati della grafica e della cover, che mi è piaciuta moltissimo. In questa lunga ricerca di materiale ho trovato anche delle illustrazioni commissionatemi da Luca Savonuzzi per le pagine bolognesi di Repubblica. Erano delle illustrazioni che andavano a corredo di articoli di cui mi veniva rivelato solo il titolo, perché l’articolo veniva scritto mentre io contemporaneamente disegnavo. Erano articoli per cui si aveva difficoltà a trovare un’immagine a corredo in archivio, quindi toccava a me l’ardua impresa di farmi venire un’idea, spesso in poco più di due ore di tempo. Ho ritrovato circa 70 di queste illustrazioni, un grande esercizio ma che non faceva per me, infatti ho lasciato l’impresa dopo un anno e mezzo. Questo lo racconto anche per confutare l’accusa che sono uno che lavora poco. Disegno molto spesso solo per me.
Per esempio ho disegnato dei nudi di donna a pennello, molto liberamente, senza il pennino che uso di solito. Ne è venuto fuori un portfolio dal titolo Sinuose edito da edizioni Del Grifo. Ho la fortuna di avere una passione, il vizio di disegnare. Ho avuto una fortuna sfacciata. Una doppia fortuna. La prima è che il mio lavoro mi diverte, a disegnare mi diverto come un matto, quasi mi vergogno da quanto mi diverto. Per intenderci, per me lavorare il primo di gennaio non è un problema, se capita lo faccio volentieri. La seconda fortuna è che la mia produzione è stata apprezzata e mi ha consentito di viverci.
Cosa consigli ai neofiti o a chi si approccia al fumetto da poco?
Consiglio principale: per fare questo lavoro ci deve essere la passione, se non addirittura il vizio. Chi si approccia a questo mestiere non può fare a meno di disegnare. È un mestiere che prevede tante ore di solitudine al tavolo di disegno con un risultato economico risibile. La quantità di lavoro è impressionante, gli inizi sono durissimi. Ci si deve divertire disegnando, altrimenti consiglio di fare illustrazione di libri che, facendo un paragone, con la quantità di disegni che si producono e il tempo che si impiega, è senz’altro un’attività più redditizia. Mi vengono in mente due grandi illustratori di libri, Karel Thole e Ferenc Pintér, che hanno illustrato tantissime copertine di libri – Thole per Urania e Pinter per quelle di Maigret – con una tecnica e un talento indubbi e che non sono stati ricompensati come dovevano.
Io ho sempre ricevuto tutti i giovani che volevano parlarmi, anche perché avrei tanto desiderato un autore anziano che mi aiutasse all’inizio del mio percorso e che mi facesse risparmiare del tempo. Tutti questi incontri mi sono serviti per conoscere tantissimi giovani autori. Anche oggi voglio continuare a farlo ma in una forma più organizzata, magari prendendo appuntamento per e-mail.
Tornando alla domanda, consiglio:
1 – Una grande passione.
2 – Avere delle doti di carattere. Sapere incassare un giudizio negativo o il rifiuto di una pubblicazione senza andare in depressione o in psicoterapia. Sì, si può stare male e piangere tantissimo ma il giorno dopo bisogna tornare a disegnare.
3 – Avere degli interessi al di fuori del fumetto, per nutrire il fumetto. Avere curiosità!
Pensi che i dispositivi digitali possano assorbire il fumetto mettendo da parte la carta?
C’è stato un momento in cui si diceva che la scoperta del cinema avrebbe distrutto il teatro e che la televisione avrebbe distrutto il cinema. Non è avvenuto. Semplicemente una parte di pubblico, che non è quella realmente interessata, si sposta. Rimane quella realmente interessata, una nicchia, c’è una scrematura. Il fumetto non ha più riacquistato la grande platea di lettori che aveva negli anni Trenta, neanche oggi. Sono sempre delle nicchie. Per esempio, una parte di lettori di fumetti di supereroi si è spostata al cinema ma nessun altro media ha soppiantato la carta, perché la forma del libro cartaceo è talmente perfetta che non scomparirà mai. Asimov, in una piccola presentazione di un suo racconto che riguardava una società informatizzata, si chiedeva come sarebbe stato il computer del futuro. Si risponde in questo modo: con minore spreco di energia possibile, meno pesante, con un linguaggio di programmazione comprensibile, con un prezzo inferiore. Tutto questo esisteva già ed era il libro, per questo non scomparirà mai. Inoltre, ai miei giovani colleghi, mi sento di dare un ulteriore consiglio, in questo caso economico: attenzione a fare tutto al computer, perché poi gli originali non ci sono più e oggi c’è un mercato di collezionisti di originali con cifre da capogiro. Ho delle perplessità relative agli originali digitali, perché gli algoritmi utilizzati hanno sempre necessità di un’apparecchiatura di supporto per leggerli.
Grazie alla carta, abbiamo degli originali che si sono conservati per.secoli. Io nel mio lavoro di fumetti uso i pennini, i pennelli, la carta, la china, la gomma. Sia per ragioni di età che per la mia esperienza da ingegnere elettronico, che mi ha permesso di conoscere meglio la tecnologia mettendone a fuoco virtù e limiti. Ho scelto in pratica di usare mezzi antichi per far breccia nel futuro.
Com’è il mercato dell’editoria nel tuo mondo ideale?
Sono sempre andato molto d’accordo con gli editori. Capivo le loro esigenze, le loro difficoltà. Non ho mai litigato con nessun editore. Per esempio con il mio editore storico in Francia – Glénat – ci diamo ancora del lei, anche se ci conosciamo e ci frequentiamo da quarant’anni. Ho dovuto affrontare una battaglia molto dura per imporre le mie esigenze. L’editore rischia i suoi soldi e deve guadagnare per sopravvivere. Ci sono varie politiche, il catalogo è vario e non tutti i libri possono essere dei successi, quindi quelli che lo sono servono a supportare delle scelte editoriali che magari non porteranno grosse vendite.
Bisogna considerare i costi di produzione. A volte gli autori hanno delle pretese, ad esempio la qualità della carta, che incidono sui costi del prodotto finale. Per me non c’è differenza tra editoria ideale e reale. Stiamo entrambi lavorando per vendere libri, per questo motivo c’è una profonda collaborazione con l’editore. Mi ritengo sufficientemente soddisfatto del rapporto che ho avuto con i miei editori ma se proprio dovessi immaginare qualcosa a livello ideale, vorrei che ci fosse maggiore attenzione alla costruzione del libro e che ci fosse, di conseguenza, un maggior numero di lettori.