Emanuele Rosso nasce a Udine nel 1982. Si trasferisce nel 2001 a Bologna, dove si laurea prima al DAMS (arte contemporanea), e poi in Lettere moderne. Da sempre appassionato di narrazione e storytelling, già in adolescenza frequenta corsi di fumetto, realizzando numerose autoproduzioni (soprattutto “Pupak!” con Sara Pavan e Paolo Cossi) e diventando anche assistente di Davide Toffolo (su Carnera. La montagna che cammina). Nel corso degli anni pubblica numerose storie brevi, su antologie edite da Becco Giallo (Resistenze e Zero tolleranza) e da Nda Press (Global Warming – Immagini che producono azioni). Nel 2013 viene edito il suo primo graphic novel, intitolato Passato, prossimo, dai tipi di Tunué. Ha realizzato inoltre numerosi workshop dedicati al fumetto e alla narrazione per immagini, per giovani e adulti.
Dal 2007 collabora con Hamelin, associazione culturale bolognese che si occupa di promozione della lettura, illustrazione e fumetto, e fa parte dello staff organizzativo di BilBOlbul. Festival internazionale di fumetto. Collabora inoltre come curatore con il Treviso Comic Book Festlval.
Ha scritto inoltre per Fumettologica, il principale sito italiano dedicato al mondo del fumetto, e per Banana Oil, rivista di approfondimento e critica sul fumetto.
I suoi lavori più recenti sono i graphic novel GOAT e Limoni. Cronache di quotidiane resistenze sentimentali (entrambi Coconino Press/Fandango), e Bassiila, albo della collana “Fumetti nei Musei”, promossa dal MiBACT e curata sempre da Coconino Press/Fandango.
I suoi fumetti sono stati pubblicati anche su Internazionale, Origami (La Stampa), Lettera matematica – Pristem (Springer/Bocconi University Press), Frizzifrizzi.it, e ha realizzato illustrazioni per GQ Italia, Veneta Cucine, Agr Factory, Helbling Languages.
Oltre al fumetto si occupa professionalmente di fotografia, specializzandosi nelle foto di eventi, e di insegnamento. Dal 2013 al 2018 ha tenuto il corso di “Comunicazione fotografica per il marketing” presso l’istituto di formazione professionale CIO-FS Emilia-Romagna, mentre dal 2019 si occupa di storytelling presso lo IED Torino.
Altra passione è la radiofonia: dal 2007 al 2016 ha collaborato con Radio Città del Capo (Popolare Network), conducendo diversi programmi. L’ultimo è stato Questa è l’acqua.
È tra i fondatori di MeFu – Mestieri del Fumetto, associazione senza scopo di lucro che si propone di tutelare e rappresentare chi crea fumetti in Italia.
È il creatore di Off the record, un fumetto a episodi – solitamente a cadenza mensile, pubblicato via newsletter (puoi iscriverti QUI).
Off the record parla di musica, musica indie, musica indie italiana, musica indie italiana dei primi Duemila. Di cosa voleva dire “essere indie” in quegli anni, dei tour, della comunità di musicisti, di groupie e roadie, delle infinite ore in furgone in giro per l’Italia, degli alberghi coi gatti impagliati, dei concerti con dieci persone tra il pubblico e dei festival storici che non esistono più. Ma è anche un fumetto che guarda indietro, che parla di nostalgia, di crisi dei 40 anni, di successo e fallimento (più il secondo che il primo), del tempo che passa.
Dal 2019 vive e lavora a Torino.
FB: https://www.facebook.com/ehiuomo
IG: https://www.instagram.com/ehiuomo/?hl=it
Personal Website: https://www.emanuelerosso.com/
Off The Record: https://offtherecordcomics.substack.com/
Parlaci un po’ di te, da dove vieni e qual è la tua storia?
Sono nato a Udine nel 1982. La mia storia non ha particolari mitologie o aneddoti da vantare (nel bene e nel male): sono cresciuto in una famiglia che ha sempre sostenuto e incentivato le mie passioni, in un contesto sereno e senza particolari traumi. Un po’ noioso, mi rendo conto.
Come ti sei avvicinato al fumetto? Che percorso formativo hai fatto?
I fumetti li ho sempre letti, sin da bambino, ma la lettura consapevole, frutto delle mie scelte, è coincisa con l’avvento dei manga in Italia, a metà degli anni Novanta. Il primo fumetto che comprai io stesso in edicola fu un volume di Ken il Guerriero della Granata Press (il numero 17, maggio 1993, lo ricordo ancora). Da lì in poi iniziai ad acquistare praticamente ogni manga presente in edicola (ora non ci potrei più stare dietro, per fortuna all’epoca non erano ancora troppi), per lo sconcerto dei miei genitori, che mi sostenevano ma erano anche un po’ preoccupati da questa passione totalizzante. In quel periodo mi misi a disegnare fumetti insieme a un compagno di classe delle medie, lui era anche molto più talentuoso di me, solo che io poi non ho mai smesso. Non so bene come ma scoprii che presso un’associazione locale, la libera accademia di Cividale, il fumettista Davide Toffolo, che avevo già conosciuto tramite la musica dei Tre Allegri Ragazzi Morti e la prima miniserie di Mondo Naif pubblicata da Star Comics, teneva un corso di fumetti, a cui riuscii a farmi iscrivere dai miei genitori. Era il 1996. A parte quel corso, sempre la stessa associazione tenne nel 1998 un workshop intensivo con Giorgio Cavazzano: lì conobbi Sara Pavan e Paolo Cossi, giovani aspiranti autori quanto il sottoscritto, e insieme creammo “Pupak!”, un’autoproduzione che durò 5 numeri, in cui pubblicai i miei primi fumetti (bruttissimi, come inevitabile che sia, ma che ora mi fanno molta tenerezza). Nel 2001 mi trasferii a Bologna, e poi è storia. No, nessuna particolare storia in realtà: mi sono laureato al DAMS, poi a Lettere, ho iniziato a collaborare con l’associazione Hamelin, e ho cercato di vivere tutto quello che la città aveva da offrire in merito al fumetto, mentre continuavo il mio percorso da autodidatta, disegnando e realizzando le mie storie, cercando di capire come riuscire a farmi pubblicare.
Quali sono i tuoi maestri/e?
Considero Davide Toffolo il mio primo maestro, e tutt’ora un autore a cui guardo per la freschezza del segno. Maestri ideali ne ho molti, forse più di tutti quelli della scuola nordamericana, come David Mazzucchelli, Adrian Tomine o Craig Thompson. Ho poi un amore totale per “Love & Rockets” e il segno di Jaime Hernandez. Studio con molta attenzione anche lo stile di autori quali Frederik Peeters e Christophe Blain. Tra gli italiani non perdo un’opera di Paolo Bacilieri e Manuele Fior. E, se devo allargare ancora un po’ lo sguardo, mi piacciono molto i lavori di Anouk Ricard, Linnea Sterte e Léa Murawiec.
Hai una diversa modalità di lavoro a secondo dei progetti che realizzi? Sei disciplinato o lavori d’impulso?
Mi sembra di essere abbastanza abitudinario nel mio processo creativo e produttivo, di pianificare tutto con disciplina e chiarezza. Se devo indicare dei cambiamenti significativi nei miei metodi negli ultimi anni, direi che prima di tutto ho imparato a non scrivere tutte le mie storie subito, ma impostare solo delle linee guida generali e poi sceneggiare episodio per episodio, o blocco narrativo per blocco mentre vado avanti, per non perdere la freschezza della scoperta e mantenermi aperto a eventuali modifiche e inserimenti frutto dell’intuizione dell’ultimo minuto. Un altro grosso salto è stato l’introduzione dell’iPad, che ha di fatto ormai sostituito il foglio di carta negli ultimi due anni, e che mi ha permesso di ricavarmi una nuova routine in un periodo in cui purtroppo stavo facendo molta fatica a trovare il tempo per mettermi alla scrivania a disegnare. Tutt’ora faccio fatica a trovare questo tempo, ma almeno il disegno in digitale mi permette di ottimizzare ogni attimo che riesco a rubare al resto degli impegni della giornata. Mi piacerebbe poter dire che faccio fumetti d’impulso, che sono quel tipo di autore geniale e istintivo, ma credo che chiunque legga i miei lavori abbia ben chiaro che il mio approccio è decisamente più “cerebrale”.
Qual è stata la tua ultima pubblicazione?
A livello “cartaceo” e ufficialmente distribuito le mie ultime pubblicazioni sono state “GOAT” per Coconino Press e “Bassilla”, albo della collana “Fumetti nei musei”. Ma ormai da quasi due anni sto portando avanti un fumetto a episodi distribuito via newsletter, Off the record: https://offtherecordcomics.substack.com/
Hai una doppia anima: disegni e scrivi. Fra le due attività c’è n’è una che preferisci?
Sono un fumettista molto “testuale”, forse anche per via della mia formazione prevalentemente letteraria. Mi piace molto la parola scritta, la curo moltissimo, ritorno sui testi molte volte, spesso fino all’ultimo momento utile. Spesso la scrittura di un fumetto per me parte proprio dai dialoghi, intorno a cui si va a sviluppare la scena, il contesto, gli ambienti. Se però faccio i fumetti e non scrivo romanzi è perché comunque certe cose funzionano meglio mostrate che descritte.
In realtà non è solo doppia… Oltre al fumetto ti sei occupato anche di fotografia e radio, sei un operatore culturale e organizzatore di eventi, insegni allo IED e alla Scuola Internazionale di Comics. Come fai a conciliare tutte queste attività? Che tipo di influenza hanno sulla tua vita autoriale?
Non lo so come faccio a conciliarle… Anzi lo so, disegnando molto meno di quanto vorrei. La maledizione del fumetto è che richiede un sacco di tempo e un tempo per di più “immersivo”. Insomma sono spesso costretto a sacrificare la mia vita autoriale, cosa che mi fa un po’ soffrire, ma allo stesso tempo non vorrei rinunciare al resto delle cose che faccio. Insomma è, e temo resterà sempre, un nervo scoperto.
Sei uno dei fondatori di MeFu – Mestieri del Fumetto, associazione senza scopo di lucro che si propone di tutelare e rappresentare chi crea fumetti in Italia. Ti va di parlarci più approfonditamente di questo progetto?
Per parlare approfonditamente di MeFu servirebbe tutta un’intervista dedicata! Obiettivi, approcci e iniziative sono spiegati, spero abbastanza chiaramente, sul sito dell’associazione: https://www.mefu.it/ Il nodo centrale, almeno per me, è rendere autrici e autori più consapevoli, tanto dei propri diritti quanto di ogni aspetto professionale del mestiere, perché una consapevolezza condivisa può solo migliorare l’ecosistema editoriale. A parte questo mi piacerebbe che alla lunga MeFu aiutasse a sviluppare un po’ di coscienza di classe, a portare chi fa fumetti a pensarsi un po’ meno come individui e un po’ più come collettivo.
Cosa consigli a chi vuole diventare fumettista?
Consiglio innanzitutto di leggere molti fumetti, e di spaziare nelle letture. Non si possono fare bei fumetti se non si ama il fumetto come linguaggio e non lo si conosce nelle sue declinazioni. Poi consiglio di iniziare a pensarsi come imprenditori di sé stessi, di conoscere il mercato (anzi, i mercati) e i meccanismi che lo regolano, e di ragionare su come sia possibile trasformare la propria passione in un’attività lavorativa sostenibile. Non può più esistere l’autore chiuso 24 ore al giorno nella propria cameretta, assorbito dalla creazione delle proprie magnifiche opere, incurante di tutto il resto.
Pensi che i dispositivi digitali possano assorbire il fumetto mettendo da parte la carta?
No, non lo credo. La pubblicazione cartacea resta un feticcio tanto per chi i fumetti li fà quanto per chi li legge, oltre a essere, quella del libro, una “tecnologia” di per sé perfetta. Di sicuro, rispetto a oggi, ci potrà essere anche più ibridazione, progetti che nascono digitali per diventare cartacei, o viceversa. Il cartaceo ha comunque, almeno nel contesto italiano in cui c’è ancora parecchia resistenza a pagare beni e servizi digitali, un ruolo fondamentale nel creare una monetizzazione del prodotto.
Com’è il mercato dell’editoria nel tuo mondo ideale?
È un mercato molto più ampio, in cui i fumetti, ma anche i libri più in generale, sono letti da almeno dieci volte tanto i lettori attuali. Prima di tutto farebbe bene alla società nel suo complesso, e poi da lì discenderebbe tutto il resto, come una maggiore bibliodiversità, compensi migliori per autrici e autori, nuovi eventi e iniziative…