Laura Scarpa nasce a Venezia nel 1957. Dopo aver abitato a lungo a Milano, oggi vive e lavora a Roma. È autrice di fumetti, illustratrice, editor e docente. Ha iniziato a lavorare nel mondo del fumetto alla fine degli anni Settanta per una serie di riviste quali Linus, Alterlinus, Alter Alter, Orient Express e Corriere dei Piccoli. È anche autrice di numerosi fumetti e, nel 1987, crea il suo personaggio più noto, Martina, che viene pubblicata sulla rivista Ragazza In e su Lupo Alberto Magazine. È autrice delle serie Sara dai capelli blu e Sabato in jeans. Tra i libri pubblicati: Moll Flanders, su sceneggiatura di Antonio Tettamanti, Venturina Veneziana, Come la vita, realizzato insieme a Carlos Trillo, Cuori di carne e Amori lontani (Kappa Edizioni), Merende e merendine (Struwwelpeter, 2011) e il libro illustrato Caffè a colazione (Coniglio Editore, 2011). Laura Scarpa ha inoltre scritto diversi saggi sul fumetto, tra cui: Praticamente Fumetti, L’arte delle sceneggiatura, Disegnare Dylan Dog, la collana Lezione di Fumetto, Hugo Pratt le lezioni perdute (Mompracem, 2012).
Nel 2002 crea la rivista Scuola di Fumetto (dopo “ANIMAls” e “Blue”), edita dalla Coniglio Editore, della quale – dopo un intervallo di pochi anni nei quali aveva ceduto i diritti di pubblicazione alla Edizioni NPE – è di nuovo editrice e direttrice da novembre 2022, quando a Lucca Comics ha festeggiato i venti anni del magazine pubblicandone un numero zero speciale.
Dal 2011 dirige A Scuola di Fumetto online, la prima scuola di fumetto online italiana con cui la tradizionale didattica frontale è amplificata dalle nuove ed enormi potenzialità del web. I corsi, di diversi livelli di apprendimento e di specializzazione, sono tenuti da alcuni dei più autorevoli fumettisti italiani contemporanei.
Nel 2012 fonda e dirige l’Associazione Culturale onlus ComicOut, il cui scopo è la promozione, la diffusione e la miglior conoscenza del fumetto, come linguaggio autonomo e come arte.
Sito web ComicOut: https://www.ascuoladifumetto-online.com/
FB: https://www.facebook.com/laura.scarpa.fumetti/
IG: https://www.instagram.com/scarpalalaura/
Parlaci un po’ di te, da dove vieni e qual è la tua storia? Come ti sei avvicinata al fumetto? Che percorso formativo hai fatto?
Come tutti, si parte da bambini che disegnano e che leggono. Sì, prima siamo tutti lettori, e io ho avuto la fortuna di leggere sul Corriere dei Piccoli degli anni ‘60 e ‘70, dove pubblicavano Pratt, Battaglia, Toppi, Nidasio (Violante e Valentina!), Di Gennaro, Tacconi e anche molti grandi francesi come Hermann (adoravo la sua Comanche!), Peyo e molti altri… Amavo leggere e disegnare, nei pomeriggi andavo da mia nonna a guardare la TV (mia mamma a casa non la voleva), e guardandola disegnavo. A 11 anni cominciai a disegnare piccole storie, fiabe classiche a vignette (non veri fumetti).
Quando uscì sul Corrierino La Ballata del mare Salato fu una folgorazione. Un mio cugino mi incitò a seguire la mia passione; mia sorella fece una ricerca linguistica sui fumetti che mi portò a conoscere Pratt. Andammo da lui a Malamocco (io stavo a Venezia), mentre con Annie, Silvina e Giona facevano le valige per svernare a Parigi, mi regalò due libri e potei tornare qualche mese dopo portandogli i miei fumetti. Ho ricevuto da lui soprattutto incoraggiamento, consigli scarni e non pedanti, qualche tirata d’orecchie e molta parità nelle discussioni, ma anche già qualche concetto sui diritti di un autore.
Cominciò così. Poi conobbi Battaglia e Toppi…
Non avendo studiato disegno, ho faticato a capire certe cose basilari come la prospettiva e l’anatomia, ma avevo voglia di raccontare. Devo a tanti autori ed editor la pazienza e l’amicizia con cui mi hanno insegnato e lasciato crescere con le mie gambe.
Ma i miei due maestri sono Pratt, che mi ha insegnato il rigore della sceneggiatura, e Nidasio, che mi ha incuriosito per la libertà fuori dalle storie. Entrambi mi hanno insegnato ad amare un disegno essenziale e leggero che corre libero e sintetico sul foglio, e che invidio sempre. Poi si studia, si impara e si trovano altre guide, sia ideali che tecniche, e si cresce scoprendo molti altri autori e concetti. Se riguardo il mio disegno istintivo di partenza, so che avrebbe trovato più spazi oggi che allora, eppure ho pubblicato due libri e un paio di storie brevi prima dei 23 anni e in un momento in cui libri se ne facevano pochissimi.
Ti occupi di fumetto a tutto tondo. Sei autrice, illustratrice, editrice, docente, saggista e storica del fumetto. Come riesci a conciliare tutte queste attività? Tra tutto quello di cui ti occupi, ce n’è una che preferisci?
Ehehe, sì, dico sempre che del fumetto faccio tutto, tranne le pulizie (perché sono disordinata). Ho iniziato come autrice di testi e disegni, poi ho proseguito subito anche come insegnante alla Scuola di Milano e come illustratrice. Ho amato fare piccoli progetti editoriali autoprodotti o per il Corrierino. Con Giorgio Pellizzari sono stata coinvolta a diventare anche editor esterna. Da lì la mia passione per l’aspetto editoriale del fumetto si è ampliata e consolidata all’interno della Coniglio editore. Amo insegnare e scrivere piccoli saggi e manuali.
Oggi abbandonerei forse l’aspetto editoriale più complesso, scrivere resta una cosa che amo, e forse potrei farlo anche fuori dalla saggistica. Disegnare e FARE fumetti mi piace sempre molto, anche se è una lotta. Non so se è davvero la cosa che preferisco, ma di certo quella che mi manca di più in questo momento, e mi riprometto di tornarci in modo più ampio e personale, anche se nel 2022 è uscito un mio adattamento a fumetti da due romanzi della Pitzorno, per Mondadori, e un libro che ho sceneggiato per Tarma, con Shockdom.
Viste le mille sfaccettature del tuo lavoro, partecipi a tante fiere e incontri internazionali e quindi porti con te un punto di vista molto ampio. Che idea ti sei fatta degli autori e degli editori nel panorama attuale e che tipo di cambiamenti percepisci?
Domanda difficile. Io mi sento sempre molto dentro, ma anche molto fuori dal mondo del fumetto nella sua complessità. L’impressione è che le grandi e belle differenze tra i vari Paesi stiano diminuendo a livello di cultura e comunicazione, però ancora certi fumetti sono “locali”, intraducibili, e non parlo solo di quelli comici. Ma è una lezione che sappiamo da tempo, un fumetto per essere conosciuto a livello mondiale un po’ deve essere come Topolino o Batman. La produzione americana infatti ha introdotto, non solo nel fumetto, ma più ancora nel cinema, una linea guida “universale”. Questo dà vita a qualche capolavoro internazionale, ma anche a un appiattimento.
Il manga si è inserito in modo molto forte, ma ha ancora un po’ una mentalità “ebraica”; al contrario di quella “coinvolgente” cristiana infatti vogliono prenderti e battezzarti per farti entrare a far parte della loro comunità, il Giappone infatti vuole fare lui il manga/fumetto, e non ne compra dall’estero.
In quanto agli autori, ci sono tante nuove possibilità, più ampie, ma come sempre quando il cerchio si amplia, avvengono molti successi troppo rapidi e molti effetti di vittimismo, giustificati da un mercato che produce troppo, apre facilmente, ma perde di vista la selezione. In Italia, e non solo, pagano poco, in Francia non sempre concludono le serie. Si rischia facilmente e ci si pente presto, infine conta molto il marketing, mi pare.
Il fumetto dunque si trasforma, si amplia, ma perde anche certe sue caratteristiche che credevamo peculiari. Questo è un periodo aperto e pieno di energie, ma anche un po’ confuso… D’altra parte anche la moda è così. Molte possibilità diverse, almeno alla prima impressione.
Nel 2012 hai fondato l’Associazione Culturale ComicOut, il cui scopo è la promozione e la conoscenza del fumetto, come linguaggio autonomo e come arte. Ti va di raccontarci meglio questo progetto?
Alla fine del 2011 la Coniglio previde la sua chiusura. Ormai da molti anni avevo un’idea editoriale che magari non puntasse al successo economico, ma più all’idea della qualità del fumetto, pubblicando opere e parti di saggistica. Per Coniglio avevo diretto Scuola di Fumetto dal primo numero (oltre ad Animals, mia creatura, e per qualche tempo Blue e Touch), me la portai appresso assieme alla Scuola di Fumetto Online che avevo aperta da qualche anno.
L’associazione ComicOut (faccio coming out del fumettista) nasceva così spontaneamente per editare, certo, ma soprattutto per far capire, far leggere bene i fumetti.
Quando cominciai ad appassionarmi al fumetto con l’intenzione di farlo, mi resi conto che ero una lettrice appassionata e attenta ma ignorante, ora tutto sarebbe cambiato.
Come dicevo, avevo 15 anni quando mia sorella all’Università di Lettere fece la tesina sul linguaggio usato in tre fumetti: Topolino di Gottfredson, Jacovitti e il neonato Corto Maltese. Da quella tesina nacque la mia occasione di conoscere Pratt, ma fu anche la chiave che mi aprì alla critica riguardo al fumetto. Pratt mi regalò il primo incontro con AZ Comics, un volumone rosa che elencava i grandi personaggi del fumetto… Chi mai era Little Orfan Annie? Chi fosse Dick Tracy lo scoprii poco dopo su Linus, e anche Krazy Cat o Milton Caniff… Lo Strazzulla completò e ampliò la curiosità di conoscerne ancora, il meraviglioso saggio di Gubern diede poi un senso a tutto. Ho imparato cosa fosse il fumetto da tutti loro e da molti altri. Nel frattempo infatti scoprivo i grandi autori su Linus e poi in Francia o alla libreria Le Nuvole Parlanti, dove chiacchieravo con autori, editori e appassionati… Vorrei che i lettori di oggi non fossero pigri o passivi, e ancor meno che lo siano gli autori o gli aspiranti tali.
Di quasi tutti i libri che ho pubblicato vado orgogliosa per questo, e continuo a farlo anche chiacchierando online. Dobbiamo cercare di capire cosa c’è dietro a ogni pagina. È anche per questo che riprendo a fare Scuola di Fumetto, la rivista, anche se non più per l’edicola. Per approfondire, divertendosi, che cosa sia il fumetto e cosa spinge gli autori a raccontare.
Come autrice, hai una diversa modalità di lavoro a secondo dei progetti che realizzi? Sei disciplinata o lavori d’impulso?
Più che altro ogni volta l’inizio è difficile, decidere che taglio dare, che tecnica usare… una sofferenza! Nelle storie molto brevi no, vado di getto. Per le cose impegnative c’è molto pensiero e degli schizzi liberi poi, con abbastanza chiarezza in testa, parto decisa, di slancio e intuito per un bel pezzo. Qualche volta con una scaletta che scrivo e poi non riguardo molto. Ma dipende dalla storia. Poi rivedo e sistemo prima di proseguire fino alla fine, e ogni tanto si torna indietro a correggere. DI sicuro mi piace cambiare tecniche e segni, dalla china ai pastelli, dagli acquerelli al digitale, molto digitale ora, ma non solo.
Qual è stata la tua ultima pubblicazione?
Come dicevo il 2023 mi ha vista pubblicare due libri, sia come sceneggiatura e disegni sui romanzi della Pitzorno, sia come sceneggiatrice. Ultimissima pubblicazione, a gennaio, 2 pagine + 2 su Internazionale, due cartoline da Praga. Spero prestissimo di ripartire per un progetto più grande.
Cosa consigli a chi vuole diventare fumettista?
Sarò vecchio stile, ma credo che serva leggere i fumetti, tanti e diversi, guardarli e studiarli per sciogliere la mano e la vista, ragionarci. Guardare film e fumetti e pensare alla sceneggiatura. Osservare la realtà. Avere sempre in tasca un blocco per schizzi e appunti. Disegnare dal vero, rendere appunti visivi e scritti ogni volta che capita. La scuola di fumetto può essere una buona scorciatoia tecnica, ma serve anche a conoscere autori e soprattutto altri disgraziati aspiranti con la stessa passione, confrontarsi ed essere meno soli.
Pensi che i dispositivi digitali possano assorbire il fumetto mettendo da parte la carta?
Non scandalizzatevi, ma in parte lo spero. Solo in parte, perché la carta è il supporto più resistente e meraviglioso. Ma lo spero. Perché infatti sprecare tanta carta per molte letture veloci (non parlo solo dei fumetti…) che reggerebbero benissimo su un iPad o i lettori da e-book? Non credo scomparirà il cartaceo (al massimo cambierà formula di composizione), ma sempre di più dovrà essere dedicato a quei libri che puntano sull’oggetto libro. Un prodotto meno invasivo, meno costoso, potrebbe aiutare a leggere tutti di più. Il digitale per ora ha un difetto, dipende dall’elettricità e stanca gli occhi, mentre il supporto da libri, meno luminoso, non sempre funziona per i fumetti. La strada è lunga.
Il supporto cartaceo è però splendido per il contatto diretto e indiretto, ma non è sempre essenziale, e lo dico da editore. Personalmente Zerocalcare lo leggo più volentieri in video, lo leggo meglio. E vanno benissimo anche i bonelliani e simili fumetti quasi tascabili e in bianco e nero, succederà sempre di più anche per i graphic novel formato libro. Certo la strada è un po’ lunga… Amo la carta, ma non solo lei. Anche se leggo “meglio” su carta, mi pesano per esempio i libri troppo spessi, scomodi.
Avete mai disegnato su certe superfici strane, tavoli o sassi? Ecco, il supporto può evolversi, e la tecnica di disegno e riproduzione anche. Lo ha già fatto, possiamo stampare molte più sfumature, oggi, molti grigi, matite, retini, colori particolari.
Potremo anche leggere diversamente, se chi se ne occupa tecnicamente ci investirà di più, per ora non lo fa.
Com’è il mercato dell’editoria nel tuo mondo ideale?
Un mercato in cui si produce meno, non per eccesso di cautela, ma solo perché liberi dal meccanismo perverso della distribuzione.
Un mercato dove sia facile per il lettore la ricerca di titoli affini, temi, modi, stili.
Una critica che si impossessi della cordialità degli youtuber, mettendoci professionalità e conoscenza.
Molte più biblioteche meglio fornite, e anche spazi di lettura. Da sempre mi attira il “mito” dei caffè dove vai e leggi, come ce ne sono (o ce n’erano) in Giappone, sono biblioteche dove paghi poco e accedi a letture di consumo.
Il mercato ideale vedrebbe emergere i bravi autori, e non quelli pompati da marketing e da editori forti e ricchi. Ma è comunque un mercato che sta cambiando. Staremo a vedere (e magari staremo a fare).