Kill or be Killed è una serie di fumetti americana creata dallo scrittore Ed Brubaker e dall’artista Sean Phillips ed edita in Italia da Mondadori Oscar INK.
La storia parla di Dylan, uno studente universitario depresso che tenta il suicidio. Il ragazzo viene salvato in extremis da un demone, che in cambio gli chiede un tributo mensile in sangue. In cambio, Dylan potrà vivere un mese in più per ogni persona che ucciderà. Brubaker ha detto di aver scelto di rendere il personaggio in giovane età perché voleva includere l’ottimismo della giovinezza all’interno di una trama che esamina le conseguenze della violenza del vigilante sul protagonista e le persone a lui care.

Noi di Studio RAM ci siamo occupati della traduzione, della grafica e dell’impaginazione di tutt’e 3 i volumi che compongono l’edizione italiana.Francesco Matteuzzi in particolare si è occupato della traduzione di tutta l’opera e per questo motivo gli abbiamo posto alcune domande.

– C’è una specificità nella traduzione di fumetti? Differisce dalla narrativa? Se sì, quali sono gli aspetti peculiari della traduzione di un fumetto?

La differenza principale tra la traduzione di un fumetto e quella di un romanzo (o di quasi qualsiasi altro testo, in realtà) consiste nella necessità di tenere ben presente le lunghezze del testo di partenza e di quello di destinazione: è infatti necessario che siano più simili possibile, in modo che in fase di lettering i balloon non risultino né troppo pieni e né troppo vuoti. Sembra un giochetto, ma ci sono situazioni in cui è davvero molto complicato trovare soluzioni accettabili.

– Qual è stata la difficoltà più grande che hai incontrato traducendo Kill or Be Killed?
Sicuramente il fatto che la narrazione non procede in modo lineare, saltando continuamente avanti e indietro nel tempo. Il lavoro per usare i tempi verbali in modo coerente mi ha dato qualche mal di testa, lo confesso.

– Qual è stato per te lo strumento più prezioso per tradurre questi volumi?
Non so se si può parlare di strumento, ma il fatto che già apprezzassi e conoscessi bene molte delle opere del duo Brubaker-Phillips mi ha consentito di trovare subito la voce della storia. Il lavoro in sé poi è stato molto divertente.

– Tradurre ha influito su di te come lettore? In che modo?
Certamente la traduzione richiede un’attenzione maggiore rispetto alla semplice lettura e ti consente di entrare più a fondo nei dettagli della storia, notando cose alle quali magari, da lettore, non avrei mai fatto caso. E soprattutto mi ha costretto a rileggere ogni volta i volumi pubblicati, prima di affrontare la traduzione del successivo: un lusso che probabilmente altrimenti non mi sarei concesso.

– Che tipo di strategie hai utilizzato per entrare in empatia con la narrazione?
Come dicevo, il tipo di storia lo conosco bene e lo apprezzo in modo particolare, quindi non c’è stato bisogno di nessuna strategia particolare. È bastato mettersi lì e lasciarsi guidare dalla storia. Non tutti i lavori di traduzione sono così, purtroppo.

– Ci sono stati degli autori o dei libri che ti hanno aiutato a trovare metodi o soluzioni utili per l’interpretazione e la traduzione?
Sicuramente sì, ma non te li saprei indicare. Quando si fa un lavoro di questo tipo si usano un po’ tutte le conoscenze e le tecniche acquisite negli anni. Conoscenze che poi si stratificano e si mischiano tra loro, al punto da rendere difficile risalire alle fonti originali. Io, almeno, non ne sono in grado.