Cosa succederebbe se gli studenti fossero liberi di esprimersi nelle strutture del sapere, se le istanze e gli ardori giovanili venissero ascoltati e messi a regime?

C’è stato un tempo in cui questo è successo, e non è il 1968. Era il 1919, la Germania esisteva come nazione da meno di 50 anni e la Prima Guerra mondiale era appena finita. Nel 1919 Weimar era the place to be se eri giovane, genialoide, democratico e con tanta voglia di sperimentare. Era ancora il tempo delle avanguardie, il Novecento dava ottimismo ed euforia a tutti e c’era la voglia di prendersi il mondo e mangiarselo a gran morsi, senza preoccuparsi di altro che non fosse esserci in quel momento di fermento in cui tutto il probabile sembrava possibile.

Il mondo era dei giovani e i conflitti esplodevano da tutte le parti: la Rivoluzione industriale e il proletariato convivevano con l’ultimo attacco di cavalleria della Storia; le lunghe vesti si abbinavano ai rossetti e la radio era l’ultima invenzione tecnologica. In questo clima nasceva nella Repubblica di Weimar il movimento del Bauhaus, che ha dato impulso alla nascita del design, cioè l’arte applicata all’industria, al commercio, all’architettura e all’artigianato. L’idea di fondo era quella di abbattere le tradizionali divisioni tra le discipline per considerare l’insieme piuttosto che i singoli elementi.

Nel 1919 nasce a Weimar la Staatliches Bauhaus, la scuola che univa Accademia di belle arti alla Scuola di arti e mestieri. Il nome faceva riferimento alla Bauhuette, la loggia dei muratori che comprendeva mastri e architetti. Allo stesso modo, nella Bauhaus si voleva integrare tecnica e arte, funzionalità e bellezza, unicità artigianale e serialità industriale. Per questo motivo, furono creati i laboratori dove gli studenti erano liberi di sperimentare a partire da forme geometriche e colori primari. Gli studenti erano incoraggiati ad essere liberi e a trovare soluzioni innovative nei diversi campi di sapere, si chiedeva loro di vivere la scuola e di partecipare anche alla nomina dei professori, cosa inaudita fino a quel momento.

La Staatliches Bauhaus era anche la prima scuola totalmente aperta alle donne, una totalità purtroppo da rapportare sempre al 1922: se infatti le ragazze erano libere di partecipare insieme ai ragazzi al corso preparatorio tenuto il primo anno, difficilmente poi avevano la possibilità di continuare il loro percorso in corsi diversi da quello di tessitura. Ovviamente, ci sono state delle eccezioni motivate dall’eccellenza di alcune studentesse.

All’inizio del corso, i ragazzi venivano invitati a liberarsi delle strutture culturali che li avevano condizionati fino a quel momento, solo esplorando la propria libertà avrebbero potuto creare qualcosa di nuovo, che li avrebbe resi liberi nell’espressione individuale e allo stesso tempo utili alla comunità nella quale erano immersi. La libertà espressiva e del corpo dalle convenzioni quindi non era vista solo in ambito espressivo ma doveva confrontarsi con la materia e rendersi utile per un nuovo progetto sociale ed economico. Ecco che allora gli studenti dovevano conoscere i materiali, le forme geometriche e i colori primari per poi poterci giocare e creare. Il momento finale creativo doveva portare alla realizzazione di un oggetto bello ma anche utile e funzionale, l’oggetto stesso doveva avere una sua razionalità che rispettasse la sua essenza.

L’architettura era vista come l’apice di questo percorso, essa rappresentava bellezza, razionalità e funzionalità, l’unione di diverse discipline, di tecnica, arte e tecnologia. Per arrivare a questa massima espressione, era anche necessario confrontarsi con la produzione industriale, che rendeva più alla portata di tutti il bello e l’utile. Purtroppo l’ascesa del nazismo decreterà la chiusura di questa esperienza perché di fronte all’obbligo di sottomettersi al regime, gli insegnanti e il direttore del Bauhaus preferiranno chiudere la scuola nel 1933.

L’eredità lasciata dal Bauhaus è oggi visibile negli edifici realizzati a misura d’uomo e attenti all’ambiente che si integrano in un paesaggio urbano rispettoso di necessità e differenze, nei progetti di cucine belle ma realizzate con materiali facili da pulire, nel design di elettrodomestici multifunzionali e compatti, e soprattutto è presente come tassello del nostro modo di pensare oltremoderno, dove le differenze sono inglobate in un’unità che rispecchia le complessità della vita. Un’unità che nella sua complessità diventa semplice, perché rispondente all’esperienza vera fatta ogni giorno, autentica perché fa riferimento alla verità di corpi liberi, anche se condizionati dalla materia, dalle forme e dai colori primari. Che, come il Bauhaus insegna, possono essere trascesi per diventare perennemente altro, per rendere il tutto al servizio del particolare.

Se questa piccola introduzione al Bauhaus vi ha incuriosito, il 25 novembre potrete trovare il libreria e online la nuova biografia a fumetti edita da Centauria che racconta di questa scuola, dei suoi personaggi, di come è diventata movimento e avanguardia culturale. Il tutto condito da preziosi aneddoti, biografie nella biografia e tanti esempi di cosa il Bauhaus ha creato e come.