Come ci ricorda Nanni Moretti in Palombella Rossa, “Le parole sono importanti!” anche se forse non è esattamente l’esempio migliore per parlare di linguaggio inclusivo.
Il dibattito è acceso da molti anni all’estero, mentre qui in Italia dopo essere stato affrontato lateralmente agli albori del movimento femminista, è tornato in auge solo recentemente in connessione all’aumento della violenza di genere, riflesso della discriminazione sociale, culturale e linguistica verso le donne e le categorie meno rappresentate.
La questione è certamente complessa e qui vogliamo discutere del tema a partire dalla questione linguistica relativa al genere: come riuscire ad esprimere la varietà delle individualità nel modo migliore? Può servire creare linguisticamente un genere neutro sia nel linguaggio parlato che scritto senza ricorrere al maschile sovraesteso? Si badi bene che il tema non è fine a se stesso, perché attraverso le parole si creano significati, a loro volta capaci di influenzare il pensiero e diventare oggetto fondante di una diversa cultura.
La lingua italiana prevede l’utilizzo del maschile sovraesteso quando si parla di moltitudini (maschili/femminili) ma questa consuetudine esclude chi non si sente rappresentato dal binarismo di genere e peggio, me nega l’esistenza, non ponendosi neppure il problema di una rappresentazione diversa non basata sul sesso degli individui. Spesso infatti si incorre nella confusione tra il sesso, riferito alla differenza biologica tra maschio e femmina, e il genere, relativo alla rappresentazione culturale, e quindi evoluta in un certo periodo da una cultura. Se il sesso si esprime con due variabili generali (anche se in medicina e nella storia sono conosciuti molti casi di intersessualità), il genere è quindi condizionato da un sentire sociale e si esprime lungo un continuum, uno spettro ai cui poli si trovano le rappresentazioni di ruolo maschili e femminili. La fondatezza culturale del genere implica che questa possa essere cambiata, se condivisa da una comunità sociale che matura il cambiamento. Infine, un’ulteriore differenza rispetto tra sesso e genere è rappresentata dall’orientamento sessuale, che può essere scollegato dall’appartenenza biologica e dalla rappresentazione di genere. Per esempio, si può essere biologicamente femmina, riconoscersi nel genere maschile e amare sia uomini che donne, indipendentemente dal loro sesso.
Per affrontare l’argomento servono ancora altre definizioni.
Abbiamo parlato di binarismo di genere per esempio, con esso si definisce la classificazione delle persone nei due generi esclusivi: il femminile e il maschile. Per chi non sente di appartenere all’uno o all’altro, o sente di appartenere ad entrambi o intende compiere la transizione, questo tipo di classificazione si pone come un ostacolo nella rappresentazione di chi si sente non-binario. Questo spesso comporta situazioni spiacevoli nell’approccio a persone o gruppi di persone non-binary.
Le soluzioni emerse per riuscire a trovare un simbolo inclusivo sono diverse: dall’uso dell’asterisco (*), che però si limita alla lingua scritta; all’utilizzo della lettera U (tuttu), che però ricorda il dialetto salentino, dove tendenzialmente l’utilizzo di questa vocale è legato al genere maschile, inoltre questa forma non presenta una variante per il plurale. Tra gli esempi compare anche l’uso della X e della @ ma anche per questi termini/simboli la pronuncia si fa difficile.
Il problema non si pone unicamente per le desinenze ma anche con l’utilizzo dei pronomi che spesso, nella lingua italiana, al singolare che al plurale presentano solo il maschile e il femminile (egli/ella, essi/esse, lui/lei, gli/le). Alcuni allora propongono l’utilizzo del voi, che però si presenta desueto e legato storicamente a una differenza di potere nelle relazioni che oggi sembra quantomeno anacronistica. Per rispondere a questa esigenza di rappresentazione, in alcune lingue è stato inserito un nuovo pronome totalmente neutro (per esempio in Svezia è apparso il pronome hen (https://en.m.wikipedia.org/wiki/Hen_(pronoun)?fbclid=IwAR3CT2x6b6JvBBf05YLWgHGa1mlncQgH2aV6ED8JmQ3xMw1lKtQyxGccBfE). Nel mondo anglofono invece si preferisce l’utilizzo del they (loro) anche per il singolare, ma così la comprensione del testo o del discorso può diventare più complessa.
Fra tutte le soluzioni proposte, la vocale schwa o scèva sembra essere la soluzione adatta.
Cos’è la vocale schwa? La schwa, identificata al singolare con il simbolo ə e al plurale con la schwa lunga з, un tre capovolto, è una vocale molto utilizzata nella lingua inglese. La prima apparizione storica di questa vocale si colloca attorno al decimo secolo d.C. nell’ebraico medievale parlato da un gruppo di eruditi.
In questo video possiamo impararne la pronuncia:
https://www.youtube.com/watch?v=EGGEkFsFag0
Mentre l’Enciclopedia Treccani ne dà questa definizione:
“Lo scevà è un suono vocalico neutro, non arrotondato, senza accento o tono, di scarsa sonorità […]. È trascritto con il simbolo IPA /ə/ e nel quadrilatero vocalico ha una posizione centrale.”
Come mai molti attribuiscono a questo simbolo la soluzione migliore per il genere neutro?
Nella Proposta per l’introduzione della schwa come desinenza per un italiano neutro rispetto al genere, o italiano inclusivo leggiamo che “È presente nativamente nella pronuncia in molti dialetti e lingue regionali in Italia, quali il napoletano, il ciociaro, il piemontese e nelle varianti orientali dell’emiliano-romagnolo (ad esempio, in napoletano, “màmmeta” è pronunciato, secondo la trascrizione IPA, come /’mammətə/), pertanto la sua pronuncia è già familiare a molti italofoni. Coincidenza simpatica, visto l’uso proposto: graficamente assomiglia ad una forma intermedia tra una “a” e una “o”.” In effetti visivamente e vocalmente si trova a metà tra le due vocali con cui identifichiamo i generi dominanti.
Nel sito https://italianoinclusivo.it/ è possibile approfondire dettagliatamente l’uso che se ne può fare, la storia e perché è così importante pensare al linguaggio come uno strumento indispensabile per l’inclusione.
Sicuramente stiamo prendendo le misure con un nuovo modo di rapportarci all’identità di genere e siamo in una fase iniziale perché l’uso della schwa non è scevro da problematiche legate all’accessibilità, per quanto si ponga comunque come una delle soluzioni migliori al momento.
Per esempio il glifo ə non è presente in molte famiglie di font (infatti anche noi di Studio Ram siamo in fase di aggiornamento di alcuni font che utilizziamo per letterare fumetti) e web font. Inoltre ci sarebbero diversi problemi legati all’indicizzazione e all’integrazione del carattere negli slug (parte del permalink che segue il nome del dominio) perché il simbolo è un carattere speciale (per maggiori approfondimenti ecco un interessante documento stilato da Chialab sul tema https://demo.chialab.io/schwa/). Non mancherebbero anche problemi legati ai lettori, che non sempre leggono la lettera schwa come suono ma la interpretano come “e girata”; inoltre la ə non è di facile utilizzo perché non sempre è presente nelle tastiere di computer e smartphone (https://www.webaccessibile.org/approfondimenti/lo-schwa-%c7%9d-che-rende-linclusione-inaccessibile/).
Nel mondo della cultura e del fumetto sono diverse le realtà che hanno già provato o che stanno sperimentando l’uso della schwa. Ad esempio Il Lucca Comics & Games diventato il Lucca Changes nel 2020 ha deciso di utilizzare la ə sia nei poster che durante le premiazioni dell’evento. Tra tutti, Sio ha inserito il simbolo nel suo poster per andare verso un italiano più inclusivo (https://www.exibart.com/fiere-e-manifestazioni/lucca-changes-il-festival-del-fumetto-e-non-solo-per-tutt%C9%99/).
Anche per Star Wars: Last Shot (Daniel José Older, trad. di Lia Desotgiu, Mondadori, 2019) e Star Wars: Solo (Mur Lafferty, trad. di Lia Desotgiu, Mondadori, 2020) è stata utilizzata la schwa per le traduzioni in italiano.
Inoltre Neo Cab, un videogioco lǝ cui protagonista è una persona non binaria, è stato tradotto in italiano usando la schwa per la declinazione non binaria dei dialoghi in cui ci si riferisce a lǝi (qui un articolo in cui se ne parla https://www.outcast.it/home/il-gender-e-la-traduzione-di-videogiochi).
Di poco tempo fa è la notizia che il Comune di Castelfranco Emilia ha deciso di utilizzare la schwa nei suoi post ufficiali “facendo un esercizio di cura e attenzione nei confronti di tutte le persone”. (https://bologna.repubblica.it/cronaca/2021/04/14/news/castelfranco_emilia_uso_schwa_e_rovesciata_inclusione-296445030/).
Insomma siamo solo all’inizio, ma è un bell’inizio se si tratta di riflettere su modalità e metodi di inclusione.